La mano e l'idea | I mukhalinga | Contenere l'impossibile
Il contesto di base dell'arte indiana è religioso. Il che non significa che, per leggere correttamente un'opera d'arte indiana, occorra conoscere un patrimonio complesso di nozioni, narrazioni, concezioni teologiche e filosofiche. Significa soprattutto tenere presente la dimensione quotidiana di quest'arte, che la inserisce sempre in una liturgia ma fa riferimento a uno stile di vita in cui politica e teologia, costume e filosofia, materia e spirito sono inestricabilmente fusi insieme. L'arte indiana va letta contemporaneamente con gli occhi e con la testa. Solo così - tra l'altro - è possibile superare gli errori di prospettiva che inevitabilmente ostacolano la fruizione di opere come i mukhalinga, il cui significato simbolico è comprensibile solo attraverso la conoscenza del loro contesto sociale/religioso. Una chiave di lettura possibile è quella che fa riferimento all'arte contemporanea: Meret Oppenheim (1913-1985), nel suo affascinante percorso dal surrealismo all'arte concettuale, affermava che l'importante, nell'arte, non è l'oggetto - per affascinante, ben eseguito e suggestivo che sia - ma l'idea che si incarna in quell'oggetto. Da questo punto di vista lo sforzo di comprensione che si richiede a chi voglia accostarsi all'arte indiana non è differente dallo sforzo di conoscenza necessario per intendere l'arte contemporanea: leggere l'opera secondo i suoi riferimenti interni non solo a livello stilistico, ma a livello di significati, con tutti i rimandi alla filosofia di vita che l'ha espressa. Nell'induismo è il rituale di visualizzazione del divino - darshan - che svolge il ruolo centrale per il devoto. La sua vita è legata a una rete di forze divine: egli contempla visivamente la divinità nello sforzo di percepire l'energia divina e ottenere la benevolenza del dio. è il ciclo di reincarnazione che determina la sua vita presente, la quale, per essere affrontata, richiede la protezione e l'assistenza divina. In India non c'è paese o villaggio che non abbia un tempio o un altare consacrato a una delle maggiori divinità induiste. Per il devoto visitarli è il principale dovere religioso. Anche nelle abitazioni familiari c'e sempre un piccolo altare, corredato di piccole immagini di bronzo e solitamente collocato nella cucina, considerata liturgicamente pulita. Per i membri della famiglia la presenza delle divinità attraverso le immagini è considerata così reale da essere considerata l'ospite più onorato, cui dedicare offerte e rituali quotidiani. A queste pratiche corrisponde storicamente un'attività artigianale di produzione delle immagini sacre antichissima e diffusa in tutto il subcontinente. Per quanto riguarda in particolare i manufatti di metallo le origini delle tecniche di fusione artistica nella valle dell'Indo risalgono alla seconda metà del III millennio a.C.: gli scavi archeologici a Mohenjo-Daro e Harappa hanno riportato alla luce figurazioni di danzatrici e animali (soprattutto tori). Nel giro di alcuni secoli questa tecnica si diffuse nel Maharashtra e nell'India meridionale, ma i reperti sono comunque rari, prima di tutto a causa dell'ovvia pratica del riutilizzo del materiale prezioso: la sopravvivenza di manufatti in fusione di metallo è stata influenzata dalle vicende storiche e dai conflitti politico-religiosi, cui vanno aggiunti fattori culturali legati alla liturgia vedica del fuoco sacrificale, di esclusiva pertinenza dei sacerdoti e scarsamente legata a oggetti di culto materiali. Resta quindi arduo definire l'estensione della produzione degli oggetti di culto in metallo fuso in queste epoche. La produzione delle figure rituali in metallo fuso si moltiplica invece con il confluire degli elementi naturalistici vedici nella liturgia induista, consolidata intorno al V secolo d.C. con il suo sistema di divinità (Shiva, Vishnu, Brahma, Devi, Ganesha...), con la costruzione sempre più frequente dei templi dal VI all'VIII secolo e con la diffusione delle pratiche religiose individuali di cui si è detto. A questa evoluzione del culto corrisponde l'infittirsi della produzione di figure rituali in pietra e in fusione di metallo, destinate ai templi e alle residenze reali. Ai secoli dall'XI al XIV possono essere fatte risalire in particolare
fusioni in varie regioni settentrionali dell'India: Kashmir, distretto
di Chamba (Himachal Pradesh), Uttar Pradesh, Punjab a nord ovest,
Bengala e Bihar a nord est; mentre nel sud manufatti di particolare
qualità sono presenti in particolare nel X e XI secolo.
Ovviamente scarsi sono gli esemplari delle zone dove la diffusione
della cultura musulmana ha influito sulla scomparsa del culto
delle immagini e delle figurazioni a esso collegate. |
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